Molti si chiedono in cosa consista il dialogo con un consulente filosofico temendo che ben poco ci sia da dialogare partendo dal presupposto – errato, vedremo – che il filosofo sia quello che “sa tutto”. In effetti, complice una storia di millenni, la figura del filosofo rimane ancorata nell’immaginario collettivo alla sapienza, ad un sapere raggiunto quindi, incrollabile e inconfutabile da parte di chicchessia.
In realtà il filosofo che si incontra in consulenza è tale perché della filosofia conserva l’insegnamento più prezioso ovvero la capacità di porsi domande.
Nel dialogo pertanto non porterà risposte già confezionate, idee prestabilite o lezioni di vita da somministrare come panacea ma indagherà insieme al suo ospite riguardo a ciò che l’ospite vorrà discutere nel dialogo stesso, arricciandosi le maniche e parlando attraverso i suoi pensieri e non attraverso quelli di secoli di filosofia. Un lavoro di questo tipo, simile ad una partita in cui i giocatori hanno le medesime chances, si prospetta sicuramente fecondo: i punti di vista potranno incontrarsi o divergere ma saranno sempre analizzati, sondati, ripuliti, smontati e rimontati da ambedue le parti. Ognuno sarà garante della fondatezza di ciò che sostiene e pronto a rimettere in discussione ciò che eventualmente sia indifendibile.
E’ in un dialogo di questo tipo che può nascere la “terza cosa” e cioè un approdo che non sia né quello del filosofo né quello dell’ospite ma uno nuovo e forse non incontrato prima di allora.